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L’OLIO VEGETALE USATO DI FRITTURA: UNA MINACCIA PER L’AMBIENTE

In Italia vengono, ogni anno, immessi al consumo ( direttamente come olio alimentare o perché presente in altri alimenti) 1.400.000.000 di chili (1.400.000 ton) di olio vegetale per un consumo medio pro capite di circa 25 Kg. annui (fonte Ministero della Sanità). Di questa quantità si stima un residuo non utilizzato pari a circa il 20%. Ci troviamo quindi di fronte ad oltre 280 milioni di chili (280 mila ton.) di olio vegetale usato, circa 5 Kg. a testa, che ogni anno “restituiamo” all’ambiente, in gran parte sotto forma di residuo di fritture e quindi “ricco” di sostanze inquinanti.


Diversi sono i lavori sperimentali di ricercatori italiani e stranieri volti a studiare la dinamica delle reazioni sia termiche che ossidative e la qualità e quantità delle sostanze più o meno tossiche che si producono durante la frittura dei cibi.
L’olio vegetale, infatti, portato alle alte temperature necessarie alla frittura, modifica la sua struttura. Una complessa serie di reazioni conducono alla formazione di numerosi prodotti di ossidazione e un gran numero di prodotti di decomposizione sia volatili che non volatili. I prodotti volatili vengono perduti durante la frittura, quelli non volatili si accumulano nell’olio per cui quest’ultimo dopo un certo numero di riscaldamenti, lo si deve considerare deteriorato e in più ha assorbito le sostanze inquinanti derivanti dalla carbonizzazione dei residui alimentari.
Le trasformazioni summenzionate hanno anche effetti percettibili come difetti nell’odore e nel sapore, imbrunimento del colore, aumento della viscosità, abbassamento del punto di fumo, formazione di schiuma, ecc. direttamente in rapporto con lo stato di degradazione dell’olio stesso.
Ne deriva una sostanza che ha praticamente perso tutto della originale purezza e genuinità , e che è diventata un grave pericolo se dispersa nell’ambiente.
L’olio che penetra nel sottosuolo si deposita con un film sottilissimo attorno alle particelle di terra e forma così uno strato di sbarramento tra le particelle stesse, l’acqua e le radici capillari delle piante, impedendo l’assunzione delle sostanze nutritive. Se l’olio raggiunge le specchio della falda freatica forma sopra lo stesso uno strato con spessore 3-5 cm. che si sposta con la falda verso valle; in tal modo può raggiungere pozzi di acqua potabile anche molto lontani, rendendoli inutilizzabili; infatti un litro d’olio mescolato a un milione di litri d’acqua basta per alterare il gusto in limiti incompatibili con la potabilità.
L’olio che invece raggiunge qualsiasi specchio d’acqua superficiale può andare a formare una sottile pellicola impermeabile che impedisce l’ossigenazione e compromette l’esistenza della flora e della fauna. E’ impressionante pensare che un solo chilo di olio usato è sufficiente per coprire con questa pellicola una superficie di 1000 metri quadrati.
Lo smaltimento di questa enorme quantità di residuo oleoso provoca inconvenienti anche laddove esistono impianti fognari adeguati, perché può pregiudicare il corretto funzionamento dei depuratori ( influenzano negativamente i trattamenti biologici) e comunque lo rendono diseconomico, infatti nella fase preliminare del trattamento si rende necessario la realizzazione di appositi disoleatori, basati sul principio della flottazione per separare sotto forma di materiale galleggiante gli oli e i grassi presenti nei liquami.
Solo un corretto e controllato smaltimento dell’olio vegetale usato può quindi garantire la salvaguardia dell’ambiente.